I social network diventano giorno dopo giorno uno strumento di marketing sempre più potente utilizzato dalle aziende per farsi conoscere o per pubblicizzare i propri prodotti e servizi.
D’altro canto, un loro utilizzo scorretto da parte di dipendenti e collaboratori può causare dei danni rilevanti all’azienda sotto il profilo reputazionale (non sono rari i casi i cui i dipendenti utilizzano i social per parlare negativamente del proprio datore di lavoro dando sfogo a delle frustrazioni anche con toni talvolta molto critici ed offensivi) o addirittura esporre l’azienda a responsabilità civile (per es. per richieste di risarcimento conseguenti a divulgazione di materiale confidenziale o coperto da copyright).
Per prevenire queste spiacevoli situazioni molte aziende si dotano di cosiddette “social media policy”. In sostanza si tratta di regole di condotta che l’azienda impone ai propri dipendenti (o anche a collaboratori esterni) e che vanno a disciplinare l’utilizzo dei social relativi ad account aziendali o personali.
Quando la policy disciplina l’utilizzo di account aziendali, si rivolge ai dipendenti che gestiscono il sito internet o i profili social dell’azienda che dovranno essere utilizzati esclusivamente per veicolare e pubblicare contenuti in linea con gli obiettivi aziendali e le indicazioni del datore di lavoro.
Ma regole analoghe possono essere previste anche per i contenuti pubblicati dai dipendenti sui profili social personali.
In questo caso la policy diventa uno strumento con cui l’azienda rende i propri dipendenti consapevoli di come utilizzare correttamente i social nel rispetto della legalità e con modalità che non ledano la reputazione e l’immagine del datore di lavoro.
Come scrivere una social media policy
Ciascuna azienda può inserire nella propria social media policy le regole operative che ritiene opportune e le condotte che considera necessarie a salvaguardia della propria organizzazione.
A titolo esemplificativo, la policy relativa all’utilizzo dei profili social aziendali può contenere:
- la modalità di gestione degli account;
- la modalità di produzione e pubblicazione dei contenuti;
- il divieto di pubblicare contenuti confidenziali o coperti da copyright;
- il divieto di pubblicare contenuti diffamatori, offensivi o ingiuriosi;
- il calendario e la tempistica delle pubblicazioni;
- il linguaggio e lo stile che devono essere utilizzati;
- le modalità di gestione di eventuali reclami da parte di soggetti terzi;
- le eventuali conseguenze sul piano disciplinare, in caso di inosservanza.
La policy relativa all’utilizzo degli account personali può contenere:
- l’invito ad utilizzare i social in maniera responsabile, data la risonanza che certi contenuti possono avere in rete (anche se privati);
- l’invito a rispettare la privacy dei colleghi;
- l’invito a non pubblicare informazioni confidenziali (ad. es. relative ad attività o progetti aziendali non di dominio pubblico);
- le modalità di pubblicazione di eventuali immagini relative al luogo di lavoro;
- il divieto di pubblicazione di contenuti diffamatori, offensivi o ingiuriosi nei confronti dell’azienda o dei colleghi;
- le eventuali conseguenze sul piano disciplinare, in caso di inosservanza.
Conseguenze dell’uso improprio dei social
Per consolidato indirizzo giurisprudenziale, l’uso dei social che lede la reputazione e l’immagine dell’azienda costituisce una causa di licenziamento disciplinare. Si tratta infatti di una violazione dei doveri di diligenza, lealtà e correttezza.
Una delle ultime sentenze sul tema è la n. 27939 del 13.10.2021 della Corte di Cassazione.
Nel caso in esame, un lavoratore aveva impugnato il licenziamento che era stato adottato a seguito di critiche offensive espresse su Facebook nei confronti dell’azienda.
Il lavoratore si era difeso affermando che la pagina Facebook era visibile solo ai suoi amici e quindi non pubblica.
Secondo l’orientamento dei giudici, il licenziamento era legittimo poiché le modalità della pubblicazione erano idonee a determinare la circolazione del messaggio tra un gruppo indeterminato di persone.
Oltre a rappresentare una causa di licenziamento giustificato, la pubblicazione di post offensivi nei confronti del datore di lavoro può integrare il reato di diffamazione, di cui all’articolo 595 del codice penale (v. Tribunale Vicenza n. 459 del 01.07.2020, Corte di Cassazione n. 10280 del 2018).
Il reato si configura infatti nel caso in cui l'altrui reputazione venga lesa in assenza della persona offesa, ed in presenza di almeno due persone.
Contattateci se avete bisogno di supporto per la redazione della vostra social media policy. Lo staff di RUP Legal and Consulting è a vostra disposizione.
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