
Un sistema di videosorveglianza implica la ripresa di immagini statiche o dinamiche che possono venire archiviate e, all’occorrenza, condivise con soggetti terzi (ad es. le autorità competenti) generalmente con lo scopo di potenziare la sicurezza del proprio patrimonio o del patrimonio aziendale.
Oggetto delle riprese possono essere persone fisiche potenzialmente identificabili, pertanto l’installazione e l’utilizzo di tali sistemi deve avvenire in ottemperanza a quanto stabilito dalla normativa sulla privacy.
Il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (anche noto come GDPR) non prevede alcuna autorizzazione particolare per l’installazione di un sistema di videosorveglianza, ma pone a carico del titolare del trattamento (in questo caso il soggetto che decide di installare l’impianto) l’onere di attenersi ai principi fondamentali applicabili al trattamento (art. 5 GDPR).
Tuttavia la materia è disciplinata anche da norme civili e penali, incluse quelle relative al controllo a distanza dei lavoratori qualora le videocamere vengano utilizzate all’interno di contesti lavorativi.
Informativa
Gli interessati (che in questo caso sono le persone fisiche riprese dalla telecamera), devono essere adeguatamente informati in merito al trattamento, quindi devono essere messi al corrente che l’area in cui si trovano è videosorvegliata.
Affinché ciò avvenga il titolare deve predisporre un’apposita informativa che va posizionata in prossimità dell’area in cui avvengono le riprese, in modo che l’interessato venga a conoscenza della presenza della telecamera prima di accedere all’area stessa.
E’ ammessa un’informativa semplificata che può essere riportata su un cartello e deve contenere i dati identificativi del titolare del trattamento e le finalità perseguite.
L’informativa semplificata deve comunque rinviare a un’informativa integrale contenente tutti gli elementi previsti all´art. 13 del GDPR che può essere pubblicata su un sito internet o affissa su una bacheca fisica. In ogni caso è essenziale che la persona interessata venga informata circa le modalità di consultazione dell’informativa integrale.
I dati raccolti per fini specifici di videosorveglianza devono essere utilizzati esclusivamente per questo scopo (e non, ad esempio, per finalità di marketing).
Registrazione e conservazione
Qualora le immagini vengano registrate, la loro conservazione deve avvenire su supporti che garantiscano la sicurezza dei dati e l'accesso esclusivo a soggetti autorizzati.
Inoltre le registrazioni possono essere conservate solo per il lasso di tempo strettamente necessario alle finalità per le quali sono acquisite.
In alcuni casi la legge prevede espressamente le tempistiche per la conservazione di determinate categorie di dati. A titolo esemplificativo, le riprese effettuate dai Comuni in luoghi pubblici o aperti al pubblico per la tutela della sicurezza urbana, possono essere conservate per una durata massima di 7 giorni.
Negli altri casi, la responsabilità di definire le tempistiche della conservazione dei dati ricade sul titolare del trattamento che dovrà tenere conto del contesto e delle finalità del trattamento, nonché del rischio per i diritti e le libertà delle persone fisiche.
Stando alle indicazioni del garante della privacy, in via generale, una tempistica ragionevole per la conservazione delle registrazioni è 24 ore, perché è un lasso considerato sufficiente per rilevare eventuali danneggiamenti del patrimonio.
Nel caso delle attività commerciali, la chiusura in giorni festivi o comunque nei fine settimana potrebbe tuttavia giustificare un periodo di conservazione più lungo.
Videosorveglianza presso abitazioni private e in condominio
In caso di videosorveglianza privata è possibile riprendere solo spazi di propria esclusiva pertinenza. Sono vietate le riprese di aree comuni o di pertinenza di soggetti terzi. In caso di inosservanza si rischia di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615 bis c.p.).
Quanto alla videosorveglianza in ambito condominiale, per l’installazione dell’impianto è necessaria l’approvazione dall’assemblea di condominio. Anche in questo caso è richiesta idonea informativa e le eventuali registrazioni devono essere conservate per un lasso di tempo strettamente necessario.
Videosorveglianza sul luogo di lavoro
Fermo restando quanto previsto dalla normativa sulla privacy, in tema di videosorveglianza nei luoghi di lavoro occorre considerare quanto stabilito all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (legge 300/1970).
La norma richiamata consente al datore di lavoro l’installazione di impianti di videosorveglianza ma solo per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale.
In ogni caso è necessario un “accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione della sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell'Ispettorato nazionale del lavoro.”
Sul tema si è pronunciata in più occasioni la Suprema Corte precisando che l’accordo collettivo o l’autorizzazione sono necessarie anche quando le videocamere risultano spente o fuori uso (v. Cass. pen., sez. III, sent. n. 38884/2018).
La Corte ha ritenuto infatti che, per ledere la riservatezza dei lavoratori sia sufficiente l’installazione dell’impianto, a prescindere dal suo effettivo utilizzo.
I presupposti fissati dal legislatore sono quindi piuttosto stringenti e rispondono all’esigenza di tutelare la riservatezza dei lavoratori e ad evitare che le telecamere possano essere utilizzate per monitorare le prestazioni lavorative.
Sanzioni
Per le violazioni della normativa sulla privacy (ad es. mancata informativa, mancato rispetto dei principi di necessità e proporzionalità) possono essere applicate sanzioni pecuniarie fino a 20 milioni di euro.
L’art. 167 del “Codice della Privacy” prevede il delitto di “trattamento illecito dei dati” per il quale possono essere comminate sanzioni penali e sanzioni amministrative pecuniarie.
Infine la violazione dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori può comportare l’applicazione di un ammenda da un minimo di 154 euro a 1.549 euro o l’arresto da 15 giorni ad un anno.
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