
Quando si svolge un commercio, che sia di prodotti o di servizi, viene naturale redigere delle condizioni di vendita o dei termini generali di servizio che ci tutelino dai tutta una serie di imprevisti che spesso esulano dal nostro controllo.
Può capitare, ad esempio, che un difetto non rilevabile della materia prima abbia conseguenze sul nostro prodotto rendendolo difettoso, oppure che un servizio del quale facciamo uso per fornire il nostro servizio – ad esempio la architettura software che usiamo per gestire il servizio – abbia dei problemi che non dipendono da noi.
Altre volte il problema può trovarsi nell’acquirente e nelle sue aspettative: acquista il nostro prodotto o servizio avendo in mente un risultato che in realtà non può essere raggiunto con quel prodotto o servizio e pretende da noi il rimborso dei danni o dei mancati guadagni derivati dal suo errore di valutazione.
Per ripararsi da queste eventualità è possibile inserire nelle condizioni di vendita o dei termini generali di servizio delle clausole di esclusione della responsabilità, di limitazione della garanzia (nel rispetto delle norme generali sulla garanzia dovuta per legge, ovviamente) e altre che, al di là del contenuto, mirano tutte allo stesso scopo: ridurre e depotenziare le possibili pretese dell’acquirente.
Un’altra tendenza diffusa nel commercio è, poi, quella di utilizzare clausole che accrescano il nostro potere sul destino del rapporto contrattuale, soprattutto nel campo dei servizi. Si pensi, ad esempio, a quelle clausole che, nell’ambito di servizi informatici, danno mano libera al fornitore per interrompere il servizio ogni qualvolta lo ritenga opportuno per tutelarsi, senza individuare delle circostanze predeterminate dalle quali far conseguire l’interruzione.
Ebbene, queste, e molte altre, clausole rientrano nell’insieme delle clausole dette vessatorie e per evitare che gli acquirenti si trovino inermi di fronte a veri e propri contratti capestro le leggi impongono dei requisiti per la loro validità.
Questo vuol dire che inserirle nei propri contratti senza conoscere e rispettare questi requisiti comporterà l’impossibilità, nel momento del bisogno, di farle valere nei confronti dei nostri acquirenti, ritrovandoci quindi inermi di fronte alle loro richieste o impossibilitati nel raggiungere il risultato che speravamo di ottenere.
Quali sono questi requisiti e come si implementano nel proprio e-commerce?
Il primo passo è distinguere fra business B2B e B2C.
B2B sta per “Business to Business” e indica le relazioni commerciali fra soggetti economici professionali, ovverosia fra aziende e/o professionisti che vendono i propri prodotti/servizi ad altre aziende e/o professionisti che li useranno all’interno della propria attività aziendale/professionale.
B2C, invece, sta per “Business to Consumer” e indica le relazioni commerciali fra soggetti economici professionali e non professionali, ovverosia fra aziende e/o professionisti che vendono i propri prodotti/servizi a soggetti consumatori che li useranno per una propria utilità personale, al di fuori della propria attività professionale.
Il secondo passo è comprendere se, con il nostro business, ricadiamo nella categoria del B2B o del B2C, in quanto a seconda del nostro tipo di cliente, se professionale o consumatore, cambiano le norme di riferimento per quanto riguarda le clausole vessatorie.
Se il nostro modello di business è B2B e i nostri clienti sono aziende e/o professionisti, allora dobbiamo fare riferimento principalmente all’art. 1341 del Codice Civile. Questo articolo quale individua come clausole vessatorie:
1) quelle che stabiliscono, a favore di chi le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto (cioè di farlo decadere o comunque far sì che non abbia più effetto per lui) o di sospenderne l’esecuzione;
2) quelle che impongono a carico dell’altra parte decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla propria libertà contrattuale nei rapporti con soggetti non parte del contratto, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie (quelle che stabiliscono che in caso di un contenzioso fra i contraenti a occuparsene sia un collegio arbitrale e non un tribunale) o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria (quelle clausole che individuano a priori un tribunale, diverso da quello della sede/domicilio del convenuto, in caso di controversie).
Per quanto riguarda la loro validità, l’art. 1341 c.c. impone, perché le clausole vessatorie siano valide, una loro specifica approvazione per iscritto da parte del soggetto che non le ha predisposte (cioè l’acquirente).
La giurisprudenza della Corte di Cassazione, nell’interpretare questo articolo, ha precisato che per specifica approvazione si deve intendere una sottoscrizione separata (ulteriore rispetto a quella con la quale l’acquirente sottoscrive il contratto) di queste clausole che, seppur integrate nel corpo del contratto, vanno richiamate con il loro numero e la propria rubrica (cioè il loro titolo, dal quale deve emergere il contenuto e la sua natura vessatoria).
Come si traduce questa pratica, pensata per i vecchi contratti cartacei, nel mondo informatico dell’e-commerce? Semplicemente attraverso la presenza, al momento dell’accettazione delle condizioni di vendita o dei termini generali di servizio, di uno spazio apposito sulla pagina che richiami queste clausole e richieda una spunta, da parte dell’acquirente, ulteriore rispetto a quella chiesta per l’accettazione del contratto che, è bene ricordarlo, deve essere facilmente consultabile, perché mostrato sulla pagina o perché ivi linkato.
Se il nostro modello di business è B2C, invece, dovremo rifarci al Codice del Consumo (D.Lgs 206/2005) il quale, a maggior tutela dei consumatori, offre, all’art. 33, una differente interpretazione di clausole vessatorie che si applica solo ai contratti conclusi fra aziende/professionisti e consumatori.
L’elenco degli esempi di clausole vessatorie offerto dall’articolo citato è troppo lungo da riportare integralmente ma reperirlo in Internet è semplice ed è consigliato in quanto tutte le clausole, presenti in un contratto col consumatore, che ottengono uno degli effetti indicati in questo elenco sono da considerarsi vessatorie fino a prova contraria; il che vuol dire che spetta all’azienda/professionista il, difficile, compito di provare che una clausola che realizza un effetto considerato vessatorio dal Codice del Consumo non lo è.
E non finisce qui, perché oltre alle clausole ritenute vessatorie, l’art. 33 stabilisce che sono da considerarsi vessatorie tutte quelle clausole che, comunque, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
Questo significa che anche clausole che non corrispondono a una delle clausole vessatorie dell’elenco presente nell’art. 33 possono essere considerate vessatorie se creano un significativo sbilanciamento dell’equilibrio contrattuale a danno del consumatore.
L’altra particolarità del regime delle clausole vessatorie previsto dal Codice del Consumo è che per introdurre validamente una clausola vessatoria in un contratto rivolto al consumatore non è affatto sufficiente la loro specifica approvazione ma è necessario che sia stata oggetto di una trattativa individuale.
In sostanza, la legge ci dice che queste clausole, per essere valide, dovrebbero esser state separatamente contrattate fra le parti e non unilateralmente predisposte, come solitamente accade per questi tipi di contratti, da una sola delle parti: il fornitore del prodotto/servizio.
Inoltre, e a maggior tutela del consumatore, tutte le clausole vessatorie che non sono state oggetto di trattativa individuale devono considerarsi nulle, sempre e comunque.
Dal Codice del Consumo, quindi, emerge una tutela fortissima del consumatore e molto limitante per l’azienda/professionista che, chiaramente, non ha modo di contrattare individualmente con ogni cliente del suo e-commerce le clausole vessatorie. La natura stessa del commercio elettronico e la sua esigenza di rapidità e semplicità rendono la cosa impossibile.
In verità, la prassi prevalente, anche nell’e-commerce, è quello di far comunque di far accettare a parte dal consumatore le clausole vessatorie, con lo stesso meccanismo di spunte visto sopra per le clausole vessatorie ex art. 1341 c.c., premettendo alla loro indicazione e sommaria descrizioni espressioni come “dichiaro che le seguenti clausole sono stato oggetto di trattativa individuale”.
Si tratta, a esser sinceri, di una soluzione debole e che rischia di esser ritenuta insufficiente e inefficace in caso si dovesse arrivare a un giudizio in tribunale, con conseguente annullamento e impossibilità di far valere le clausole vessatorie inserite nelle condizioni di vendita o nei termini di servizio.
Il consiglio migliore che posso dare, nel caso di e-commerce B2C, e di utilizzare, sì, il sistema della specifica approvazione delle clausole vessatorie anche nei confronti del consumatore ma al tempo stesso di limitare al minimo la presenza di clausole vessatorie nelle proprie condizioni di vendita o termini di servizio, così da limitare i danni nel caso un proprio cliente decidesse di opporsi alla loro applicazione.
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